A colazione con l’albero.
(Di pere)
No, non mi alzo presto. Non sarei sincera se lo affermarsi, dietro l’ombra del cellulare che mi copre.
Né del resto mentirebbe bene anche la foto. Le ore del primo mattino sono “visibili” quando sei in mezzo alla natura; e in città anche: meno “visibili” ma “percettibili”.
In vacanza è diverso. Ti permetti di alzarti quando vuoi e di metterti al cellulare per una breve… “meditazione”. Almeno finché non ti raggiunge il resto della tribù.
Cosa mi insegna l’albero?
Una cosa che ho sempre pensato ma che quando sono qui, in questo lembo di terra che accoglie le mie farneticazioni “mattutine”, affiora con maggior evidenza al sentire.
La faccio sempre questa “cosa”, perché è il mio rituale mattutino (durata: 0,5 secondi, il tempo di riacchiappare una Consapevolezza, un pensiero). Il rito è interiore, non sempre si declina in uno spazio tempo. Il rito può essere anche solo “rievocazione di uno stato”. Uno stato di Coscienza.
Ecco quanto da tempo sono determinata a non lasciarmi fuggire (e oramai è il corpo stesso che inserisce il registro): il primo sorso o boccone che mi si offre – di ogni pasto ma soprattutto della colazione, simbolo della nuova giornata che inizia – può raggiungermi solo se tutto in me, quanto c’è di fisico e quanto di non-fisico, si dispone ad accoglierlo col massimo della sua coscienza.
Più semplicemente: sto nel massimo della mia presenza. Che è ESSERE NEL PRESENTE.
Allora non solo “ascolto” il sorsetto di caffelatte o di the (io vado col primo: caffè che non mi nego e “latte”, di mandorla o di soia, possibilmente bio e rigorosamente senza zucchero, tanto è già dolce); riconosco di esser viva, di respirare e di poter “seguire” il viaggio di un cibo, di un alimento. Che è viaggio nell’invisibile, viaggio di trasformazione; viaggio di offerta e sacrificio di una “forma” per nutrire altra “forma”, permettendo alla vibrazione della vita di custodirsi e mantenersi attiva nella sua incessante danza. Viaggio di trasformazione, che del “morire” e della sua ILLUSIONE, è “simbolo” eloquente.
Niente di nuovo fin qui. Questo è il mio rito, ma ognuno può scegliersi il suo, poiché rito è solo un simbolo: una scusa, un escamotage della coscienza, per richiamare sé a se stessa. Per non dare per scontato il mio esserci. Il mio essere qui, ancora. Esser consapevoli significa spesso proprio questo: non dare per scontate le cose, anche le più semplici. Non dare – mai – per scontata la vita che ci abita, il Respiro che ci attraversa.
E ora vengo all’albero,
il vecchio pero che da anni si lascia contemplare e che, ancora inesausto, continua a donare i suoi frutti (soprattutto alle formiche, innatamente “consapevoli” di poterli abitare).
Lui accompagna i miei “sorsi del risveglio” perché si lascia osservare. Ed io (mi lascio) accorgermi di questo: che lui È PARTE della mia colazione.
Dando per scontato che non mi mangio né pere né pero, ecco cosa in realtà di questo essere entra in me: l’immagine.
Immagine piena di vita, che più la osservi più la scopri… Immagine che è anche suono: ogni tanto qualche tonfo (di pera che cade) mi riporta al mio latte e caffè.
È luce che con i suoi vibranti baluginii attraversa le foglie un po’ acciaccate dalle intemperie.
È luce che rivela i frutti che, caduti ai piedi del vecchio pero-padre, occhieggiano in mezzo all’erba.
È luce che fa cogliere la quasi impercettibile ragnatela che il ragnetto, indigeno coinquilino di formiche e altri piccoli esseri, brulicanti tra visibile e invisibile, ha misteriosamente tessuto in un lampo di tempo che fugge al nostro razionale interrogativo del “ma come ha fatto?”. La scorgi solo per un improvviso balenio dell’aria intorno; dell’etere forse, che è aria – luce che attraversa le fibre del tempo.
È gioco di illusioni, tra esserci e non esserci. È respiro. È vita nella più veritiera delle sue radici etimologiche: VIBRAZIONE. Che esiste solo grazie alla “differenza di potenziale” fra i due poli della realtà – di “questa” – che abitiamo.
L’elenco potrebbe continuare, coinvolgendo il regno dei suoni: dall’umile zappettio del vicino che ricompatta le zolle dell’orto, al gallo stonato, e soprattutto discronico, che canta a “tutte l’ore”.
Ecco. Tutto questo è la mia colazione. Perché “mangiare” non è solo introiettare cibo e alimenti. È quantomeno rendersi consapevoli che, anche solo questi ultimi, ci apportano un contenuto energetico prima, invisibile poi. Se spingi la tua visione consapevole oltre la banalità, l’invisibile diventa simbolo, non appena si rivela. E il Simbolo diventa zattera, che ti “traduce” (trans-duce) targhettandoti da una sponda all’altra del fiume, aprendo la strada a quell’oltre che è in noi, nella sua invisibilità. E ad esso ti RIUNISCE, poiché questo è il vero significato, magico, della parola.
Questa “visione”, intesa come capacità di vedere in trasparenza, oltre la banalità dell’ovvio, va ben oltre le chilocalorie che il materialismo quasi unicamente insegna a riconoscere. Ma cosa “vedo”, in realtà, se permango a questa sua scuola, tipica dei tempi? Ben poco, giusto il primo gradino dopo il nulla.
Ma soprattutto – e con questo concludo – una “nuova visione”, segno del Nuovo Mondo in arrivo (ne parlo nel mio ultimo libro), ti permette di realizzare che il tuo corpo-vita non è solo “un sacco da riempire”.
Di consapevolezza, forse. E, di questa, non ce n’è mai abbastanza…